Pareva al Caracciolo che in un bene ordinato sistema di giustizia penale, non si dovesse permettere alla compagnia, così detta, dei Bianchi il dritto, che da più secoli avea posseduto, di far grazia in ogni anno a un reo condannato nel capo; e tentò di privarnela. La compagnia portò i suoi reclami in Napoli, e il re benignamente lasciò questa parte di regia prerogativa alla nobile corporazione, che adopravasi per altro cristianamente ed a proprie spese in tutto che bisognasse al corpo ed all’anima de’ condannati all’estremo supplizio. Forse anche volle con ciò il sovrano mostrarsi propizio ai principî che già diffondevansi contro la pena capitale, e credè fosse bene che oltre le grazie da lui personalmente impartite, ve ne avessero delle altre, per facoltà da lui conceduta a quella classe privilegiata.
Il vicerè Caracciolo non era di quegli animi deboli che dànno alle volte alle cose maggior peso ch’esse non meritano, e per una scaramuccia perduta non pensava meno alla vittoria di una battaglia campale. Respinto alacremente da Napoli avea messo in Sicilia le sue radici il tremendo tribunale dell’Inquisizione. A parere de’ contemporanei non è già che questo tribunale, a’ tempi del Caracciolo, inferocisse come una volta; ma serbavansi vive le rimembranze che lo rendettero odioso. Parve tempo al sovrano, a’ ministri, al vicerè che si abolisse un potere che fece palpitare in alcune corti di Europa anche i membri principali delle famiglie sovrane.
A dì 11 marzo 1782 il consultore Saverio Simonetti recavasi al palazzo che serba ancora il nome del Santo uffizio, benchè destinato a residenza de’ tribunali ordinarî. Ivi, dando a conoscere il regio comando (2553), procedeva alla visita dell’archivio, de’ prigioni, [665] di quanto in somma vi si contenea.
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