È bello il vedere come in ogni tempo i [666] re di Sicilia avessero saputo serbarsi illesi nella cattolica fede, e custodire insieme gelosamente le regie prerogative. Fra le altre cose che ci toccherà a narrare nel corso della presente storia cronologica, le quali faranno testimonianza di questa nostra sentenza, non è da pretermettere la fermezza mostrata da Ferdinando III contro la pretesa de’ vescovi di Sicilia, di non esser tenuti a pagare le imposte su i loro fondi senza una previa autorizzazione della corte di Roma. Quanto ciò fosse contrario ai principî di ogni bene ordinato governo ciascuno a prima vista lo scorge, e non potea quindi la pretesa de’ vescovi incontrare l’assenso del re; e fu respinta difatti.
Aprivasi nell’aprile del 1782 il triennal parlamento. Il discorso di apertura a nome del sovrano fu letto questa volta dal vicerè medesimo, mentre soleasi per lo addietro affidare alla lettura del protonotaro. Credè Caracciolo dare con ciò maggiore importanza a quell’atto regio pel quale chiedevansi i donativi necessarî al sostenimento della corte e dello stato. Ma nulla ebbe di singolare questo parlamento, che, chiudendosi a 7 del vegnente maggio, nulla derogò e nulla aggiunse allo statuito dal precedente. Fra le grazie che si imploravano dal re, fu, come era d’uso, chiesta anche quella della conferma del vicerè Caracciolo per un altro triennio. E parve questa volta, più che per lo passato, gentil cosa il farlo, dopo la disputa insorta fra esso parlamento e il vicerè, credendo questi sostenere che non parlamento ma congresso si addimandasse, e che i donativi fossero detti contributi.
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