Il re volle si mantenessero gli antichi nomi.
      A chi vorrà farsi a considerare le belle ed utili istituzioni del Caracciolo, e questa sua opposizione al parlamento, parrà difficile il conciliarle; ma noi crediamo che tutto in lui sia mosso da un solo principio, quello di voler reprimere l’influenza del baronaggio. Una sola considerazione basterà a convincer gli altri.
      Tre bracci o camere formavano l’antico nostro parlamento, il braccio militare, dei baroni, l’ecclesiastico, de’ vescovi e degli abbati, il demaniale, de’ rappresentanti le città non soggette al dominio feudale. Di questi tre bracci il più potente era il militare, l’ecclesiastico componeasi in gran parte di ultrogeniti delle famiglie baronali, il demaniale d’uomini sempre ligî a’ baroni, e i quali, seppure avessero voluto far fronte alla prevalenza de’ primi in parlamento, restavano sopraffatti dall’unione de’ due bracci militare ed ecclesiastico, bastando a legalizzare le risoluzioni di quell’adunanza il voto di due, anche dissensiente il terzo. Non era dunque il parlamento agli occhi del Caracciolo che l’espressione della volontà de’ baroni, e quindi entrava nelle sue mire, per quanto si potesse, il deprimerlo.
      Andò anche fallita un’altra novità che voleasi introdurre da Caracciolo all’utile scopo di ravvivare l’interno commercio. Ed era quella di stabilire un mercato settimanile a somiglianza di quello ch’egli aveva osservato tanto proficuo in Napoli e in altri paesi. Ma, dopo i primi infelici saggi, se ne dovette deporre il pensiero; e la non riuscita si credè dagli economisti del tempo fosse derivata dall’essersi mantenuti sulle derrate ch’entravano in mercato i dazî consueti.