Checchè ne fosse, non si tennero più di due o tre mercati, e furono più le risa che se ne fecero, che l’utile che se ne ritrasse.
Poco mancò in quest’anno 1782 che un avvenimento di sua natura insignificante non turbasse gravemente la pubblica tranquillità. Era capitano giustiziere il marchese di Santa Croce. Venuti a rissa tra i fumi del vino in una bettola un moro al servizio del Santa Croce e due fratelli, Pietro e Salvatore Palazzo, ch’esercitavano il mestiere di segar marmi, e perciò detti volgarmente marmorari, il moro che forse aveasi il torto della provocazione vi restò ucciso. Il capitano giustiziere vide nel delitto, per sè stesso comune, anche un’offesa alla propria dignità, e comechè il punirlo entrasse nella giurisdizione della corte capitaniale ov’egli sedea da presidente, così processe con molta severità alla compilazione del processo e al volere in tutti i conti in sua mano gl’imputati. I due fratelli, benchè di ardire smisurato, avrebbero voluto evitare un giudizio in cui il principale giudicante teneasi parte offesa. Procurarono quindi innanzi tutto di guadagnarsi la liticessione della moglie dell’ucciso, e l’ottennero col pagarle onze venti. Procurarono poi, con la mediazione di rispettabili persone, di piegar l’animo avverso del marchese di Santa Croce, e giunsero anche ad interessare in loro pro la marchesa di lui moglie.
Tutto invano. La moglie del moro fu cacciata via per la viltà di aversi ricevuto il [667] prezzo del sangue di suo marito, e gli uffiziali tutti della giustizia capitaniale ebbero ingiunto che si adoprassero per tutti i mezzi all’arresto de’ colpevoli.
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