Si sparlava quindi del capitano giustiziere, si faceano voti pei disperati cui erasi già messa a prezzo la libertà e la vita. Conobbero essi di non poterla durare alla lunga, e con imprudente consiglio si avvisarono d’interporre l’autorità viceregia, in modo però che riuscì loro di più grave danno. Un giorno che il vicerè tornava dalla Bagheria, i due fratelli Palazzo ne fermarono la carrozza in mezzo alla via, e chiesergli risarcimento della ingiusta persecuzione che pativano. Fu stimato quell’atto dal Caracciolo soverchia temerità; e la taglia promessa a chi li arrestasse o anche gli uccidesse fu portata dalle onze cinquanta alle cento. Non furono più uomini i due fratelli a tal nuova; deponendo ogni speranza di vita inferocirono, giurarono ad ogni costo la morte del marchese di Santa Croce. Una notte, alle ore sei, sotto il palazzo del capitano giustiziere furono intesi gridi, schiamazzi, come di gente che immoderatamente si trastullasse, con disturbo notabile de’ cittadini pacificamente immersi nel sonno. Erano i tre fuorbanditi con altra mano di turbolenti uomini, i quali speravano che al trambusto si affacciasse al balcone il marchese di Santa Croce. Si aprì difatti una finestra, affacciossi un uomo, che al buio non si seppe bene chi fosse, e all’istante due, tre fucilate partirono contro lui dalla strada. L’uomo cadde ferito nel braccio. Non era il capitano, come speravano i fuorbanditi, era il di lui cameriere. Intanto accorrevano pattuglie urbane d’ogni dove, uomini d’arme; si attaccò forte baruffa, i cittadini non sapeano che si fosse; parea che la città andasse tutta in rumore.
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