Ma ne fu portato appello a corte [668] superiore; i più famosi avvocati dell’epoca presero a difendere i rei, e tra questi un Ardizzone; anche le mogli de’ giudici parteggiarono col popolo a favore degl’imputati. Corsero amare ed aspre parole tra il fisco e i difensori; bisognò che grosso drappello di truppe custodisse il tribunale; v’intervennero le più notabili persone del paese, stando grosso il popolo al di fuori aspettando l’esito di quel giudizio. Finalmente la sentenza fu profferita; il più piccolo de’ due fratelli Palazzo andò solo condannato nel capo, gli altri due a’ ferri. Il presidente Airoldi ebbe plauso popolare, annunziando con un segno all’affollata gente la morte di un solo. E fu prova manifesta quel giudizio della indipendenza de’ magistrati che liberarono dalla forca due già dichiarati fuorbanditi, e de’ quali era stata messa a prezzo la vita. Si palpitò all’esecuzione della sentenza, ma fu eseguita, e così ebbe termine la storia de’ marmorari, raccolta fedelmente dal Villabianca, e narrata a noi da’ padri nostri, che ne furono testimoni.
Il legame del fidecommesso che perpetuava nell’erede primo nato del barone i beni, di cui questi godevasi durante vita l’usufrutto, giovava sì da una parte a tenere sempre in vita la classe de’ nobili che non poteano, anche volendo, dissipare tutto l’avito patrimonio; ma d’altra parte, per l’interesse del momento, era sempre un freno alla smodata ambizione de’ potenti, il non potere essi disporre del capitale delle loro immense possessioni.
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Ardizzone Palazzo Airoldi Villabianca
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