Lo abbellimento della capitale, cui diè spinta sì forte il pretore marchese di Regalmici sotto i fausti auspici del vicerè Colonna, non languì sotto il governo viceregio del Caracciolo; e de’ pretori che successero al Regalmici niuno si mostrò oscitante al perfezionamento delle urbane o suburbane delizie. Si aprirono nuove strade, se ne lastricarono altre, si provvide al maggior comodo delle piazze di grascia, fu decorata di alcune statue la villa Giulia e di un bello orologio solare nel mezzo della vasca di centro (2556).
Abolito il tribunale dell’inquisizione, era passata tutta a’ vescovi la facoltà di giudicare e punire in materia di fede, ma il provvido sovrano che non avea voluto vessati i sudditi dal potere abusivo di quella formidabile congrega, non voleva altresì che risorgessero degli abusi per mano de’ vescovi, persuaso che la dolcezza degli ammonimenti, dove bisognassero, è l’arme più sicura alla difesa della religione, che non è la violenza delle persecuzioni. Pertanto, vicerè Caracciolo, pubblicavasi il bando (2557) che proibiva a’ vescovi il frequente uso che faceano di [669] monitorî e scomuniche che atterrivano le coscienze de’ fedeli.
Giunti a questo anno 1783 non possiamo preterire dal narrare almeno succintamente il tremendo naturale disastro che scosse dai fondamenti la bella e fiorente Messina, e che sconvolse gran parte della Calabria ulteriore, dico del terremoto che tiene già molte pagine della storia italiana. Sarebbe questo lacrimevole avvenimento materia a lungo discorso che non si conviene all’indole del presente lavoro; sicchè ci terremo paghi del dire che l’orrendo flagello ebbe luogo sopratutto nei tre dì del 5 6 e 7 febbraro; che il movimento del suolo perchè riuscisse più micidiale, fu non meno succussorio che ondolatorio; che molte case rovinarono del tutto, moltissime minacciarono di cadere, della decorosa palizzata che corre lunghesso il porto non ne restò ritta sulle sue basi che pochissima parte; che, il fuoco essendosi appreso a quanto non era ancora caduto, fu di necessità il demolirlo col vivo cannoneggiamento di un legno da guerra di bandiera regia ch’era nel porto; che vi restarono morte circa a settecento persone (2558). Tremenda sventura!
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