Eppure, chi il crederebbe? ne furono più tremendi gli effetti sulla vicina Calabria ove ascesero i morti all’enorme cifra di ventiseimille, dove videsi affatto sformata la faccia del suolo, dove si perdettero i limiti delle possessioni, dove le valli sorsero in colli, e sprofondarono in valli i colli, dove alberi, case, passarono da un terreno ad un altro. Ma lasciamo dal ripeter fatti già da altri narrati, dicendo piuttosto come accorsero in sollievo della disastrata città di Messina la provvidenza del principe, le cure del vicerè Caracciolo, la generosità delle altre città dell’isola, la pietà de’ privati, l’umanità degli stranieri.
Giunta in Napoli la funesta nuova, non poche disposizioni furono emesse in sollievo di Messina, e de’ paesi che più aveano sofferto della Calabria ulteriore. Il vicerè Caracciolo spediva in Messina il marchese di Regalmici, come l’uomo che avesse voce del più zelante del bene pubblico, e gli conferì l’alter ego pel governo di tutto il val Demone. Non poteasi in vero destinare un personaggio più alla bisogna opportuno, siccome il fatto dimostrò, giacchè ornavano il Regalmici due belle qualità, generosità d’animo e solerzia instancabile. Molto egli oprò in quella dolorosa emergenza, e molto ancora avrebbe fatto senza l’opposizione che ebbe a vincere di coloro che gli erano stati aggiunti per secondarlo. Pure il Regalmici accompagnato da’ soccorsi con lui spediti dalla città di Palermo, e di tutte le vittovaglie raccolte con ogni diligenza per via, sovvenne a molti bisogni di quei cittadini infelici; dov’era maggior penuria largì maggiori le beneficenze; in una parola, egli, palermitano in Messina, ottenne la benevolenza dei più. Intanto Aci-Reale e Catania, in questa occasione, nobilmente rivali, spedirono navi cariche di quanto potesse meglio bisognare nella circostanza.
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