[670] Meditava già da qualche tempo il Caracciolo un’opera pubblica di somma civiltà, quella di sgombrare il paese da’ malefici influssi dei cadaveri che seppellivansi la più parte in città nelle chiese, contro l’antichissima costumanza di tutti i popoli che ponevano fuori le mura i loro sepolcreti. Provveduto prima al denaro che bisognava a tant’uopo, occupavasi egli insieme al pretore principe di Partanna della scelta del luogo, e finalmente diveniva all’acquisto di un campo sulle rive dell’Oreto presso la chiesa di Santo Spirito poco meno di un miglio discosto dalla città. Ivi in pompa solenne accompagnato dall’arcivescovo Sanseverino procedeva egli alla sacra funzione, nella quale gittavasi la prima pietra del novello sepolcreto, cui dava il nome di Campo Santo.
Per puro azzardo coincideva il dì di quella solennità, che fu il 21 aprile, con quello che alcune centinaia di anni avanti veduto avea dei Francesi la strage. Avea preceduto di pochi giorni il reale dispaccio che approvava la novella fondazione dell’opera, portando la data degli 11 dello stesso aprile (2559).
Il baluardo Vega che interrompeva la passeggiata della marina, oggi foro borbonico, fu demolito in quest’anno per cura del pretore Partanna; e, delle macerie, gittate nel prossimo mare, si ebbe l’accorgimento di formare una piccola cala per comodo delle barche pescarecce.
In mezzo ad opere pubbliche, a provvedimenti civili e commerciali, non abbandonava mai il Caracciolo la sua idea predominante dello abbassamento del baronaggio, servendo in questo anche alle mire del governo che, come tutti gli altri di Europa, volea alleviati i sudditi delle piccole feudali tirannidi.
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