Si afforzavano a quei tempi i baroni, in sostegno delle loro prerogative, della autorità delle opere di Pietro De Gregorio e sopratutto dei due trattati: De Judiciis causarum feudalium, et De concessione feudi, trattati che furono giudicati contrarî alla regia autorità, principalmente in un tempo in cui erasi già mossa una quasi general crociata contro qualunque aristocrazia. Un bando del 23 aprile (2560) ordinava che si bruciassero pubblicamente per mano del boia i due trattati del De Gregorio, e minacciava la severità delle leggi contro chiunque ardisse non che giovarsene nelle cause feudali, ma anche tenerli.
Nè solo generali provvedimenti ferivano, in quest’anno, i privilegi baronali, ma venivasi anche a disposizioni particolari che tarpavano le ali all’orgoglio di qualche primaria famiglia. La casa Ventimiglia de’ marchesi di Geraci, che vantava vincoli di parentela con l’antica dinastia dei principi normanni, era solita aggiungere a’ suoi titoli gli altri di Primo Conte in Italia e Primo Signore nell’una e l’altra Sicilia, e il Dei gratia, a modo di molte case sovrane, e sostenea che non doveasi accettare dai suoi membri, come per essi indecorosa, qualunque carica civica. Non sapremmo dire se per caso, o per volontà di ferire questa esorbitante prerogativa, nominavasi a senatore il primogenito della famiglia Geraci. Il marchese padre per non contrastare apertamente alla volontà del sovrano, che sarebbe stata follia, mandò a viaggiare il figlio, onde evitare l’affronto che credeva a lui fatto, e non entrare nella scabra discussione.
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