Intorno però al modo di ripartire il donativo, dissentì dagli altri due bracci il braccio demaniale, che, vedendosi favoreggiato dal governo, insorgeva animoso a sostenere la difesa delle gravate università; ma invano, chè il voto degli altri due, per legge, bastava alla validità del parlamento. Caracciolo volea sospenderne la esecuzione; i deputati del regno sosteneano i dritti del parlamento; se ne portò d’ambe le parti ricorso in Napoli; i ministri furono divisi di opinione; stava al re il decidere; ma la causa fu vinta nel fatto dal parlamento; giacchè il sovrano, non volle pronunziarsi sul dritto, e le cose restarono nel suo pristino stato. Mentre durava la disputa apparve in istampa un manifesto, che fu attribuito al Caracciolo ed era del consultore Simonetti (2561), di un nuovo progetto di censimento, e col quale davasi a conoscere come il baronaggio veniva sempre a soffrire il minor peso delle gravezze (2562).
Se il Caracciolo in mezzo a’ suoi provvedimenti antibaronali, avesse usato qualche prudenza intorno alle costumanze antiche del popolo, avrebbe, se non altro, affrettato il discredito dell’aristocrazia; ma egli era l’uomo delle riforme in tutti i versi, e quindi prestava ai baroni, nel malcontento del volgo, un arme a difendersi. Parea lunga e dispendiosa la festa di s. Rosalia al Caracciolo; avrebbe voluto ridurla a tre giorni, e andandogli quel divisamento fallito, non ne ricavò che motteggi della plebaglia, e diè motivo di goderne a’ baroni. Le feste popolari possono riuscire incomode alle volte a talune classi di cittadini, ma la massa del popolo vedesi strappare con più pazienza il pane di bocca, che una di quelle festività cui vanno legate credenze religiose rispettabili sempre.
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