In questi tempi con generoso animo Giuseppe Gioeni e Valguarnera dei duchi di Angiò, prelato domestico di sua santità, costituiva in favore del reale albergo dei poveri un’annua rendita, da destinarsi alla introduzione di una fabbrica di tessuti a cui prestavasi d’altronde comodamente il magnifico fabbricato già sorto per opera di Carlo III. Nè ciò solamente. Il benemerito cittadino provvedeva ancora la università degli studî di Palermo di una cattedra di Etica, e, a promuovere l’ardore ne’ discenti, istituiva annue medaglie in premio a chi facesse esperimento di averne meglio profittato. Nobile esempio da porsi innanzi agli occhi di chi favorito dalla fortuna, non pensa che a sciupare in vanità passaggiere ed infruttuose le ereditate o acquistate sostanze!
Il 22 novembre di questo medesimo anno, il vicerè Caracciolo, riconfermato per un altro triennio, facea ritorno in Sicilia; e con lui tornava il trepidar de’ baroni, i quali sapeano quanto fossero già odiosi, a quell’epoca, i feudali abusi, e quanto era fermo ed ostinato a combatterli il Caracciolo.
Un provvedimento, assai più minaccioso e severo di quelli emessi prima allo stesso oggetto, pubblicavasi sullo spirare dell’anno 1784 (2565). Limitavansi per esso gli abusi [674] del mero e misto impero, di che sentivansi continui i reclami, o perchè paresse ancora duro a’ baroni lo spogliarsene, o, come è più naturale, perchè i vassalli conoscendo il vento che spirava propizio volessero scuotere affatto il giogo, che avea per secoli pesato loro sul collo.
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