A 3 luglio 1786 apriva il vicerè Caramanica il solito triennale parlamento, il quale votava ne’ tre giorni di sua durata tutti i già esistenti donativi, e per altri quattro anni quello straordinariamente imposto a restauro de’ danni del terremoto messinese. Questa volta il parlamento cominciò a dar segni evidenti di non esser più la sola espressione della volontà de’ baroni. I semi sparsi dal Caracciolo avean già messo radici, e il braccio demaniale si oppose in più di una votazione alle mire de’ feudatarî, e sostenne la necessità di una rettifica di censimento, per la quale restassero alleviate le università dalla ingiusta e per esse gravosa ripartizione delle imposte. Ciò non piaceva ai baroni, ma, erano tanto i tempi mutati, che non ardirono opporsi; e ad unanimi voti di tutti e tre i bracci fu questa la prima grazia domandata dal parlamento al sovrano. La seconda fu quella della conferma del vicerè. Proponevano in terzo luogo i baroni che piacesse al re portare notevoli riforme al lusso ognora crescente del paese, ma i due bracci demaniale ed ecclesiastico dissentirono in considerazione de’ danni che ne risentirebbe il commercio. Proponevasi dal braccio militare che si riducessero vitalizie le doti delle monache per non arricchire di soverchio corpi morali improduttivi, e il braccio demaniale vi aderiva, dissentendo l’ecclesiastico. Votavasi unanimemente da’ tre bracci la prescrizione centenaria, onde mettere un freno alle eterne liti, che rendevano incerti ed attenuavano gli averi de’ possidenti.
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Caramanica Caracciolo
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