Parve dura al primo imporsi quella nuova gravezza, ma il beneficio ottenutone da’ contribuenti, e lo esservi già assuefatti, fece sì che la proroga non destasse questa volta le antiche mormorazioni.
      Il consultore Simonetti, che era stato parte egli stesso, e strumento delle riforme caraccioliane, per mutazione di vicerè, non lasciava di aver sempre in mira i medesimi proponimenti, lo abbassamento de’ baroni, chè l’animo della corte e il vento ministeriale spirava ancora lo stesso. Pubblicava egli pertanto in Napoli, correndo il 1786, una Rimostranza sulla riversione de’ feudi di [677] Sicilia al regio fisco nel caso della mancanza de’ feudatarî senza legittimi successori in grado. La real camera prendeva a giudicar la materia, e benchè sulle prime andassero discordi di opinioni i membri che la componevano, pure concordavasi nel determinare che, essendo i feudi di Sicilia di doppia forma di concessione, cioè, di stretta e larga; riguardo alla prima dovesse valere la devoluzione sino al sesto grado, e riguardo alla seconda che si dovessero mostrare le concessioni. Se altre vicende politiche non avessero sturbato lo andamento del sistema del governo di allora, la feudalità di Sicilia, per tal legge, sarebbe stata già da gran tempo più che dimezzata; molto più che era generale allora la tendenza finanziera in tutte le intraprese riforme.
      In prova di che, cade qui in acconcio il dire, che la soppressione de’ conventini del 1775 ebbe in quest’anno 1786 una non piccola appendice di altre soppressioni (2569), che al cinque settembre annunziavasi con la pubblicazione de’ motivi che le determinavano, e delle istruzioni che si aveano a seguire nel mandarle ad effetto.