Il conte Paolo Andreani milanese, illustre scienziato dell’epoca, fu attento spettatore della grande eruzione del nostro vulcano gigante; e perchè si abbia un’idea del tutto basterà il dire che quel dotto calcolò la colonna di fumo e cenere che ergevasi dal vulcano aver superato la doppia altezza di un monte che spingesi al cielo poco men che le Alpi.
Sia stato effetto del caso o della corrispondenza sotterranea che passa tra i due vulcani di Sicilia e di Napoli, ebbesi a notare con maraviglia di tutti che il Vesuvio contemporaneamente al Mongibello fece anche esso un’altra stupenda eruzione, e forse più grande della nostra in proporzione della sua piccola mole; chè il Vesuvio a fianco all’Etna è un pigmeo presso a un gigante. Pur non di meno erasi l’Etna quetata dopo tre dì, e il Vesuvio dopo otto giorni non avea ancora cessato dai suoi furori.
Non fu mai penuria in ogni tempo di gente che aspira a far fortuna e a darsi importanza con lo andar suscitando pretese del fisco o di altri a danno di chi possiede, e pullula tanto maggiormente tal molesta genìa quanto più sono facili le orecchie che hanno interesse ad ascoltarli. Certo che negli anni di cui trattiamo si era mostrato assai proclive il fisco ad accogliere denunzie che potevano favorire il regio erario; ma pure furono frequenti gli esempî della giustizia del re, e molti denunziatori restarono delusi nelle loro speranze. Ad onore del governo ci piace qui ricordare che un Giovanni Pomar da Corleone proponeva in quest’anno il censimento di tutte le terre proprie dei comuni, e che soglionsi lasciare inculte a vantaggio dei vicini abitatori, con doversi l’erario regio appropriare la rendita annuale che se ne verrebbe a ritrarre.
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