Nell’anno che seguì 1790 ebbe Palermo a godere il maraviglioso spettacolo di un’ascensione aerea dell’ardito Vincenzo Lunardi da Lucca, che avea poco prima eseguito un bel volo in Napoli. Il recinto della villa Filippina fu scelto all’uopo. Nella città non rimase anima viva, e si ebbe a farla custodire tutto il giorno da numerose pattuglie di soldati. Ma, o che mancasse l’areonauta di buono acido solforico che dovea servire a generare il gas idrogene, o che il vento spirasse impetuoso e comprimesse tanto la macchina da impedirla di espandersi, dopo un giorno d’inutile espettazione bisognò a malincuore rinunziare al tanto desiderato spettacolo. Il popolo si credè canzonato, e fu provvido consiglio il nascondere pel momento il Lunardi; corsero poesie derisorie, e lo stesso Giovanni Meli pagò un tributo all’umanità, facendosi eco, con alcuni suoi versi, del pubblico risentimento. E sì pur dovea pensare quel poeta insigne, e non digiuno di fisiche e chimiche conoscenze, che già eransi eseguiti più voli, per tutta Europa da Montgalfier e da altri molti sin allora, e che lo sventurato Lunardi, poco prima volando in Napoli, aveasi acquistato dalla generosità del sovrano una pensione di onze cento e il grado di capitano. Il vicerè Caramanica si fece mallevadore dell’ascensione, e lasciò partire il Lunardi, perchè potesse provvedersi di quanto gli facea mestieri. Tornò questi in giugno, dispose il tutto, e alle otto antimeridiane del primo luglio si alzò in aria tra lo stupore e la compassione e gli applausi di quel popolo, che mesi prima indispettito, bestemmiavalo, minacciavalo.
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