Non entrava prospero l’anno 1793; che, essendo caduto assai scarso l’ultimo raccolto, cominciavasi a sentir forte la penuria dei cereali. Non erano pertanto tardi i magistrati municipali delle diverse città dell’isola, e lo stesso vicerè, a prendere tutti quei provvedimenti che potessero rendere meno generale e doloroso il caro che cominciavasi a sperimentare del pane. Certo che la povera gente ebbe a patirne, ma non quanto la circostanza avrebbe portato, se si fosse trascurato di pensarvi a tempo opportuno. Per maggiore sventura trovavasi in quell’aspra emergenza pretore il duca di Belmurgo, Baldassare Platamone, non già perchè ei fosse cattivo uomo, ma perchè nel volgo avea voce di essere più curante de’ proprî che degl’interessi del pubblico. Il rispetto in che era tenuto il vicerè salvò il paese da quei torbidi che avrebber potuto insorgere, molto più quando in luglio, assicurato già un raccolto abbondantissimo, bisognò il senato per qualche tempo smaltire un resto di pessimo frumento triestino all’alto prezzo di onze sette la salma. A questa causa di generale malcontento se ne aggiungeva un’altra, ed era la estrazione del grano per l’estero, che non facea scenderne il prezzo quanto si bramava da’ poveri per lo interno consumo; ma certo dopo le gravi somme andate fuori di Sicilia nel tempo della penuria, bisognava un ristoro del perduto numerario, e però fu un bene e non un danno la estrazione di che il volgo doleasi.
E perchè un malanno non vien mai solo, ebbersi anche a patire insolite e mortali malattie, derivate ne’ poveri dalla scarsezza e dalla diversità del cibo; chè molti furono a’ quali toccò per alcuni mesi nutrirsi non di pane ma d’erbe salvatiche e di fave.
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