Non sappiamo se per consiglio della congregazione, o per proprio zelo dell’arcivescovo, si volle ne’ giorni festivi proibita la vendita de’ comestibili; pretendendosi che la gente se ne provvedesse il giorno innanzi. In una capitale come Palermo riusciva molesta quella disposizione, e non potè aver quindi il suo pieno effetto; giacchè, a non contradire apertamente l’arcivescovo, e a dar comodo alla gente di trovare ad ogni ora di che nutrirsi, furono nelle feste tenute mezzo aperte le botteghe de’ venditori di pane e di grasce. A decoro della religione si ottenne non pertanto che i lavoranti non dassero più lo scandalo di affaticarsi ne’ giorni festivi, siccome si era fatto per lo addietro.
Erasi già turbato l’orizzonte politico d’Europa; e la nostra corte, sì per le calde insinuazioni dell’Inghilterra, sì per la catastrofe sanguinosa avvenuta in Francia, e sopratutto per fare argine al torrente pericoloso dei principî della rivoluzione, sin dal 12 luglio 1793 avea conchiuso con la Gran Brettagna un trattato ratificato in seguito a 30 agosto dello stesso anno. Il trattato era guerra ai Francesi: e però ne’ primi anni che lo seguirono, ora ordinavasi che si espellessero tutti i Francesi da’ due regni delle Sicilie, e che si aprissero i porti alle navi alleate spagnuole che abbisognavano di viveri e di munizioni; ora impedivasi a’ legni genovesi che tirassero di Sicilia cereali e zolfo, temendo che questi ne mercanteggiassero con la Francia, siccome era per altro ben naturale; ora passavasi alla confisca delle proprietà francesi; e sarebbe stato anche giusto nella circostanza il provvedimento di pagarsi allo erario regio, in luogo di deposito, le somme dovute da’ nostri a’ Francesi, se si fosse disposto insieme che questo denaro passasse a soddisfare tutto quello di che andavano creditori i nostri commercianti da quei di Francia.
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