Trovava il Caramanica al suo arrivo in Napoli inasprito il popolo per le circostanze pericolose del regno attribuite a’ consigli del primo ministro Acthon, che nella sua qualità d’Inglese non ispirava che odio a’ Francesi. La voce pubblica chiamava al ministero il Caramanica, ne ingelosiva Acton, e bastava questo perchè caduto in disgrazia il vicerè fosse quasi in castigo rimandato tosto in Sicilia. Compresi i giorni di viaggio, la sua assenza non oltrepassò i sedici giorni. Rallegravasi Palermo al rivederlo, ma ben per poco, chè la tristezza dell’animo del vicerè ricadendo sul corpo già affralito dall’ultima malattia, lo condusse repentinamente al sepolcro la notte dell’otto al nove gennaro 1795. Fu sì fulminante il colpo che l’uccise, all’età di cinquantasei anni, che corsero voci di veleno propinatogli o trangugiato volontariamente. Certo che gli ultimi istanti di sua vita furono se non altro moralmente avvelenati e dalla ingratitudine del segretario del governo Carelli da lui beneficato, e che profittando della sua naturale indolenza avea preso la somma degli affari, e dal decadimento della grazia sovrana. Dopo magnificentissime esequie lo accompagnò nel sepolcro il pianto universale.
[693] La più bella dote del suo cuore era la generosa pietà verso i poveri; le di lui elemosine giunsero in qualche anno alla cifra enorme di trentamila scudi. Voleva il bene del regno; ma amante forse troppo de’ piaceri della vita, e pigro al travaglio, sfornito di quella volontà dura che vince gli ostacoli anche spezzandoli al bisogno, non seppe che seguire debolmente le profonde orme segnate dal Caracciolo.
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