Non bastavano però questi lenimenti popolari a sopire i timori, le speranze, le agitazioni di una guerra dubbia imminente; e la sventura anche più grande di uno scarso ricolto di grano.
Da uomini fraudolenti erasi già da qualche tempo dato mano a tosare gli scudi e i mezzi scudi di argento con grave disturbo del commercio interno ed esterno del paese. Bisognava un’energica provvidenza, e il governo determinavasi a darla. Avvisavasi al pubblico essere destinati più luoghi della città dove ciascuno potesse recarsi a cambiare le monete tosate pel corrispondente valore del peso dell’argento: ma dall’altro canto, siccome in quelle critiche circostanze volea il governo procurarsi denaro per tutti i versi, pensò rimettere in commercio l’alterata moneta pel valore che rappresentava, facendola riconiare alla zecca nel cordone. Si riusciva per tal modo a far qualche guadagno, ma la nostra moneta restava screditata in commercio (2584).
Intanto la venuta de’ Francesi in Italia e la fortuna delle loro armi facea temere più vicino il pericolo. Il re sul punto di muovere egli stesso alla testa de’ suoi eserciti, spediva lettere in Sicilia, esortando i baroni a raccoglier gente d’arme e raggiungerlo; esortando i vescovi a destare l’entusiasmo de’ fedeli contro un nemico che si dicea spregiator della fede, e ad eccitare la generosità del popolo non atto alle armi perchè pagasse di denaro, non potendo della persona. Qualche barone mandava in perdizione i proprî averi per rispondere all’invito; tra questi contavansi Bernardo Bologna de’ marchesi di Sambuca, Ercole Branciforte principe di Pietraperzia, il conte di Caltanissetta, il marchese di Roccaforte, e Saverio Oneto e Gravina duca di Sperlinga, che riusciva a mettere in punto meglio di cinquecento soldati.
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