La tempesta pertanto che parea già vicina a scoppiare dileguavasi a un tratto. I Francesi che aveano sulle spalle le sempre rinascenti armate dell’Austria non volevano impegnarsi in una guerra nell’estrema penisola italica e smembrar le loro forze, e il nostro Ferdinando, con quel buon senso di che dotato avealo natura, conoscea come le sue truppe per lunghissimi anni di pace non erano atte a cimentarsi con vantaggio contro un popolo bellicoso già insuperbito per tante vittorie. Conosceva da un altro canto il buon re che una pace decorosa val meglio anche di una certa vittoria. Inchinandosi dunque d’ambi i lati alla pace riuscì facile a’ negoziatori diplomatici il posarne le basi, e il conchiudere finalmente il trattato, che venne nelle stesso anno 1796 dalle due potenze ratificato (2588). Così non avessero prevalso in [696] appresso consigli stranieri all’interesse del reame, che forse non avrebbe dovuto per dieci anni perdere la corte uno de’ due suoi regni, trovarsi impegnata in una lunghissima guerra, e veder turbata l’armonia che per secoli e secoli avea sempre legato i popoli delle due Sicilie alla difesa de’ suoi legittimi re. Non era però dato a tutti il vedere nell’avvenire, e non è maraviglia se alle volte anche la più sana ragione vegga poco o nulla al di là del presente, molto più quando sono troppo eccitate le passioni dell’animo. Come seppesi conchiuso il trattato rallegraronsi i popoli de’ due regni, e Ferdinando restituito alle delizie della sua bella Napoli, manifestava l’allegrezza del cuore, e i sensi del suo gradimento per aver trovato i suoi popoli pronti al bisogno ad ogni maniera di soccorsi.
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