Per quanti mezzi e denaro fornir potessero al re i due regni di Napoli e Sicilia, non erano mai tanti da far fronte all’enormi spese della guerra. Per tal motivo con un bando di aprile 1798 (2592) ordinavasi a tutti indistintamente di portare alla zecca quanto argento ed oro si avessero, ritirandone la promessa di averne restituito il valore o in denaro o in reluizione di rendite dovute al regio erario. Molti, sia che sperassero o no nel rimborso, faceano il chiesto sacrifizio, altri temporeggiavano, calcolando, se non altro la perdita certa delle manifatture del loro vassellame ed utensili di preziosi metalli, spesso adorni de’ più squisiti lavori. A determinare i titubanti seguiva al primo altro bando, col quale erano minacciate a’ renitenti pene di confische, e promesse ricompense a’ denunzianti. Ciò non pertanto vi furono di quelli che scelsero correre qualunque rischio piuttosto che spropriarsi volontariamente del frutto de’ loro sudori e delle lunghe sofferte privazioni; e a darsi ragione del loro operato facevano a loro modo di pensare i seguenti argomenti. “La corte nelle urgenze della guerra attuale abbisogna [699] di molto denaro, vuole l’argento e l’oro per monetarli; ma consegnar l’oro e l’argento è un rischio a perderlo; e in questo caso che si perda al più tardi possibile, quando si troverà un denunziatore che sappia quanto noi possediamo, e dove lo abbiamo nascosto. Il solo profitto che potrebbe ritrarre l’erario dalla monetazione, è minorato di molto dalle spese, e sarebbe assai scarso sussidio alla voragine di tanta guerra; menochè non si volesse ricorrere a uno spediente anche più dannoso per tutti, quello di battere moneta che rappresentasse almeno il doppio del valore del metallo; pubblico disastro economico che non può temersi dal re nostro, sempre inteso al bene de’ suoi popoli”.
| |
Napoli Sicilia
|