L’amoroso tripudio de’ cittadini era certo il più bello conforto che poteasi offrire a un re che, invaso dal nemico un regno, rifuggivasi in un altro che valeva a serbargli intemerata sul capo una splendida corona, e forse a fargli l’altra riacquistare: giacchè non limitavasi la pubblica gioia alla sola capitale, ma da tutta l’isola giornalmente giungevano innanzi al trono calde e sincere dimostrazioni di affetto, espresse in parole e in doni molto opportuni a’ bisogni della corte in quell’epoca. Ferdinando III per indole non mai dominato da alcuna ambizione sentì fra non molto rimarginata la piaga apertagli in cuore dall’occupazione francese e dalle turbolenze di talune napolitane provincie. Volle egli dar pubblica solenne prova alla Sicilia del suo sovrano gradimento con due atti governativi che onorano la sua giustizia e la sua munificenza. Pendeva ancora indecisa la rappresentanza della deputazione del regno intorno al chiesto, e non dato dal parlamento, donativo de’ sessantamila scudi al mese. Era stato l’affare commesso allo esame di una giunta di presidenti; e riunitasi questa a deliberare, avea a maggioranza di voti sostenute le ragioni addotte dalla deputazione del regno. Dei cinque che componeano la giunta, Antonino la Grua Talamanca principe di Carini, Giovan Battista Paternò Asmundo presidente della gran corte, Agostino Cardillo presidente del concistoro opinarono contro la dimanda de’ sessantamila scudi mensili; Michele Perramuto presidente del patrimonio e Francesco Migliorino consultore del governo in vece del Dragonetti votarono a pro del donativo.
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