Ne era prima di lui rivestito il generale Danero, ottimo uffiziale, onesto uomo, devotissimo al re, d’animo schietto, ma non facile a piegarsi alle pretese esorbitanti di chi si volesse, se ferissero le sue giurisdizioni. Stanziavano in Messina le inglesi forze alleate, necessarie allora alla difesa del regno, ma troppo esigenti. Il Danero usò tutta quella prudenza, che le imperiose circostanze [705] richiedeano, e fu un gran che per un uomo della sua tempra; ma quando poi gli parve che si volesse attentare direttamente alle sue attribuzioni, scelse più tosto resistere, col pericolo di vedersi tolta la carica, che permettere si derogasse al decoro del suo grado, ch’era insieme il decoro del sovrano che serviva. Orazio Nelson, reduce dalla strepitosa vittoria di Alessandria, doleasene fortemente alla corte, e com’era facile a presagire, quale che si fosse stata la briga tra gl’Inglesi di Messina e il Danero, una parola di Nelson dovea prevalere a qualunque altra considerazione. Danero usciva dalla sua carica, ma onoratamente, pago di aver fatto il suo dovere, e pago insieme di non veder turbata la buona intelligenza tra gl’Inglesi e la corte di Sicilia, tanto necessaria alla sicurezza dello stato. Il favore di che godeva a quell’epoca presso la nostra corte il vincitore del Nilo era superiore a quanto poteasi immaginare. Coronato di mano del re in una splendidissima apposita festa a palazzo; la cittadinanza siciliana impartitagli; il dono fattogli della contea di Bronte erano segni non equivoci del culto che rendevasi al solo uomo, che avesse sino a quel tempo riportato una vittoria non equivoca sulle armi republicane di Francia, per ogni dove vincitrici e tremende.
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