Intanto, sembrando già allontanato il pericolo delle incursioni barbaresche, richiamava il Bourcard le truppe di linea; ma non sì tosto rassicuravansi gli animi che nelle spiagge di Noto e Pachino erano commessi altri ladronecci da’ pirati.
L’anno 1804 parea entrasse con buoni auspicî per la Sicilia e principalmente per la sua capitale. Allontanata ogni tema de’ barbareschi; abbondante l’annona tanto da permettersi la libera estrazione de’ grani (2609), la sede arcivescovale di Palermo provveduta del suo pastore nella persona di monsignor Raffaele Maria Mormile, e finalmente la corte non avente nulla a temere pe’ suoi dominî continentali, dopo la pace conchiusa con la Francia.
Succedeva però il 1805 gravido di rilevanti avvenimenti. Quei gesuiti ch’erano stati espulsi nel dicembre del 1767, erano già stati richiamati negli stati del papa per un breve del 7 marzo 1801, e un altro breve pontificio del 30 luglio 1804 richiamavali ne’ regni di Napoli e Sicilia. Il dispaccio reale che ne annunziava il ritorno era dato in Napoli a 24 agosto dello stesso anno; ma a 30 aprile del 1805 riponevano i gesuiti il piede in Palermo, dopo 38 anni dalla loro espulsione. I beni ch’essi possedevano erano stati in gran parte venduti, e delle sei case che aveano in Palermo, non ne restavano disponibili che due solamente, il Collegio nuovo e Casa Professa, dove fu loro conceduto a grand’agio istallarsi. In compenso poi delle loro possessioni territoriali già incamerate e distratte dal regio erario, sospendeva in loro favore il re la legge di amortizzazione, che vieta il disporre a pro delle mani-morte.
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