Ciascuno da ciò può rilevare quanto rilasciata e diversa dalla presente fosse la disciplina militare di quei tempi; un militare di transito a’ giorni nostri procura nascondere, anche quando il bisogno ve lo stringe, il non fare a piedi la sua via, e i militari di allora, anzichè nascondere una tale mollezza, mettevano in mezzo pretenzioni ad aver franche le vetture a dispendio delle povere comuni.
Covavano già segreti rancori fra la nostra corte e la republica francese, quando, a rompere apertamente la pace, giungeva nella rada di Napoli una flotta anglo-russa. Il console di Francia in Napoli, credendo violate per tale avvenimento le pattuizioni stabilite tra i due governi, abbassava le armi. Il nostro re aborrente dalla guerra, e presentendo il pericolo di dover lasciare un’altra volta la sua cara residenza continentale, volle far mostra di non credere già rotta la pace pel solo fatto del console francese, e protestava altamente (2613) che farebbe rispettare le proprietà de’ cittadini francesi e de’ loro alleati. Ma non bastava questo atto di moderazione a frenare il genio dell’invasione francese. Già ne’ mari di Civitavecchia e di Ancona erano stati predati legni della reale bandiera, nè era più del decoro del governo il patire simili insulti senza far uso di una giusta rappresaglia. Fu posto quindi immantinenti l’imbarco a tutti i legni francesi ancorati ne’ porti de’ due regni di Sicilia (2614).
Era già d’ambe le parti dichiarata formalmente la guerra, e il re non potendo contare sull’aiuto de’ suoi alleati per difendere i suoi dominî sul continente, allo appressarsi delle prepotenti armi francesi, a 23 gennaro del 1806 lasciava Napoli, movendo alla volta di Palermo, che faceasi lieta di accoglierlo; e nel seguente febbraro la regina, accompagnata dalla novella sposa del principe ereditario, Isabella di Spagna, riducevasi tra le nostre mura a dividere col re le cure dello stato.
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