Le quali terre s’intendevano prendere con tutti i dritti e le obligazioni loro annesse, lasciandone però l’usufrutto a’ possessori sinchè non sarebbero [719] alienate dal governo. Fatta l’alienazione ne diverrebbe il compratore libero ed assoluto proprietario. In prezzo di esse si assegnava a’ possessori una rendita equivalente all’attuale pensione che riscuotevano. Le indicate terre si esporrebbero subito in vendita, la quale cessar dovesse quando alienata si fosse una rendita di 30,000 once. E ad agevolare siffatta vendita si dispose una lotteria le di cui cedole si fissarono ad onze dieci l’una per distribuirsi a persone ecclesiastiche, a’ nobili, a’ possidenti, a’ magistrati e uffiziali militari, a’ grandi impiegati, infino a tutti.” L’arcivescovo di Palermo Mr. Mormile dichiarava che questa aggiudicazione de’ beni ecclesiastici non si opponesse alle leggi della chiesa. Sapeasi che a questi due editti non avesse concorso il voto unanime di tutti i consiglieri e ministri; che anzi il re avesse mostrato di disapprovarlo. Forti di queste voci vere o false che fossero, afforzate per altro dalla pubblica opinione, quarantatrè baroni avanzarono al re per organo della deputazione del regno un’umile rimostranza perchè volesse degnarsi revocare l’editto dell’un per 100 (2620). Il re volle l’avviso della deputazione del regno su questa rimostranza, e la deputazione in data del 9 luglio 1811 (2621) dichiarò non meritare corso alcuno il reclamo de’ baroni. Erano allora deputati del regno monsignor Serio deputato priore, l’arcivescovo di Palermo, il principe di Butera, il principe di Campofranco, il marchese di Castellentini, il canonico d’Antoni, il principe di Scordia, il cavalier Palermo, il canonico Filippone, il principe di Torremuzza, il cavaliere del Bosco.
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