Si discusse in consiglio la punizione da infliggersi a’ baroni rimostranti; corse voce che alcuni de’ consiglieri avessero annunziate idee di soverchio rigore, altri pareri più miti, e a questi volle Ferdinando attenersi; anzi quelle stesse misure di severità ch’egli prese più per deferenza [720] agl’impulsi altrui, che per propria inclinazione al rigore, turbarono il suo animo. Ordinò pertanto che fossero deportati nelle isole adiacenti cinque baroni; tre de’ quali avean di persona presentata la supplica alla deputazione del regno.
CAPO VI.
S.A.R. Francesco Borbone duca di Calabria vicario generale del regno coll’Alter Ego, poscia luogotenente generale.
Le armi napoleoniche fraditanto non si posavano, nè Gioachino Murat le posava; perchè avuta Napoli tendeva a render salde oramai le basi degli usurpati dominî; la sua politica lo voleva, e per ambizione e per la fama godente vieppiù in questo scopo si travagliava. La Sicilia fedele a re Ferdinando, forte per gl’Inglesi che la custodivano, parte vicina di quel regno che tutto francese era, e la più grande isola del mediterraneo, moveva molto i desiderî di Gioachino. Tentava per vie ed arti ignobili sovvertire Messina, ma in breve ogni disegno andava a vôto. Conveniva mostrarsi all’aperto. Preparava armi ed armati per una spedizione nell’isola, che affidava al generale Cavagnac; ma presto ne venia rispinto. I Siciliani resi più gagliardi dal braccio inglese, scacciarono con incredibile valore un esercito di ben tre mila cinquecent’uomini.
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