Eravi un aspettare anzioso, un volere pronto e deciso. Francesco apriva la sessione con un discorso, ove mostrava appieno quale il desiderio de’ Siciliani, quali i mezzi di satisfarlo. Diceva “necessario il miglioramento delle leggi, giacchè son guarentigia de’ popoli, e il buon governo stare in ciò.”
Terminato questo, i bracci del parlamento si riunirono per discutere intorno le basi del proposto sistema. Le discussioni faceansi con calore, nè cosa di sorta dimenticavasi. Si pensò financo all’abolizione dei fidecommessi, istituzione quanto angarica altrettanto abusiva.
Ma il parlamento si vide nella più aperta discordia; v’erano quistioni intorno a cose che il principe di Castelnuovo avea proposte, e si venne a tali estremi che fu forza chiudere questa sessione. Pur nondimeno in riguardo alla feudalità erasi fatto d’assai, giacchè, dice il Bianchini, “di essa venne proclamata l’abolizione. Ma in tale atto mentre si dichiarava che una sarebbe stata la legge comune nel regno, e che la feudalità e le giurisdizioni feudali doveano cessare, non si venne a definire ciò ch’effettivamente fosse compreso nell’abolizione. Molto meno si statuì quali dritti meritasser compenso, e come questo si dovesse determinare. Nè con chiarezza si disse tutto quello che riguardar potesse l’abolizione degli odiosi dritti proibitivi o privativi, che tanto tiranneggiato aveano la proprietà, l’industria, le persone. Solo venne disposto che quando essi nascessero da una convenzione, o da cosa giudicata meritavan compenso.
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