Il re, a coerenza della proposta fattagli, fe porre a disamina il rapporto del consiglio civico, e venne con dispaccio ad ordinare che fossero permessi gl’imprestiti coattivi, giacchè per le continue ricerche che venivan fatte da tutt’i punti di Sicilia del permesso di provvedersi de’ frumenti esteri per non trovarsene indigeni, chiaramente emergea essere i bisogni annonarî sì universali ed impellenti, da far chiaramente risultare l’esistenza della carestia (2630). Con tale sovrana autorizzazione il consiglio si credè finalmente nel dritto di potere coattivamente acquistare il mutuo della somma bisognevole per la colonna frumentaria.
Ma dai provvedimenti annonarî passossi presto alle precauzioni sanitarie. Raccontammo il morbo di Malta, e i timori di Sicilia; ora narreremo la peste di più vicine provincie. Quest’orrendo flagello poscia ch’ebbe mietute non poche vittime nell’isola anzidetta si spense per risorgere in Dalmazia, a Smirne, a Scutari, e Salonicco, in Costantinopoli e in Cadice. Da una di queste contrade, e più specialmente dalla Dalmazia ovvero da Smirne, per amore d’illecito guadagno s’introduceva con un contrabando di merci nella piccola città di Noia nella Puglia. I sintomi furono spaventevoli, e la fortuna più crudele agli afflitti percuotè maggiormente le genti più misere del paese. La peste durò per ben sei mesi e mezzo, attaccando mille quattrocento trentotto individui, de’ quali settecentoventotto perirono. Pure fu rimarchevole non essersi il male dilatato per le grandi precauzioni usate non che nel regno di Napoli, in Sicilia ancora, ove la deputazione suprema di salute pubblica fu sollecita con sua rimostranza esporre a S.M. le misure che credeva convenienti praticare in questa congiuntura, onde s’avesse potuto assicurare la pubblica salute dal contagio della peste di Noia e d’altri punti ancora dell’Adriatico, principalmente in Messina, che pel sito trovavasi maggiormente esposta al pericolo.
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