Finalmente il volere di sua maestà, espresso con rescritto de’ 16 giugno di quest’anno, col quale il progetto del codice penale già compilato dalla commessione all’uopo istituita, venne rimesso all’esame del sudetto supremo consiglio di cancellaria.
Durante tali novità, v’erano sentite lamentanze del ceto dei pescatori pel dazio di grani tre a rotolo che gravitava sul pesce, giusta l’articolo 14 del reale decreto de’ 21 gennaro di questo stesso anno, sulla ragione che l’anzidetto decreto nella saggia mira di colpirne i soli consumatori, non li colpiva poi nel fatto, ma invece si vedeva andare a carico del menzionato ceto de’ pescatori. I quali si credettero nella necessità di spingere le loro querele al governo per l’abolizione di questo dazio, facendo al medesimo palesi le inconvenienze che ne cagionava. Il governo rassegnò tutto al sovrano appoggiando la dimanda de’ pescatori, e vennesi generosamente a togliere il peso dei grani tre a rotolo sopra il pesce, sostituendo un solo grano su la medesima quantità della carne (2633).
Trovavasi intanto l’isola vessata dalle continue piraterie che vi commettevano sei famosi ladri di mare chiamati Anello Coco, Antonino Bruno, Nicola, Stefano e Francesco Petrè, e Vincenzo Luparello. La giustizia avea adoperato ogni mezzo per arrestarli, ogni cosa però era riuscita vana, perchè quelli aveano saputo sin allora eludere con molto artifizio le indagini della pubblica forza. Ma venne finalmente fatto dopo molte investigazioni di rinvenirli, e farli prigioni; e siccome il timore era divenuto universale, ed avea sparso l’allarme in tutte le città marittime di Sicilia e principalmente in Palermo, perciò fu d’uopo che i facinorosi si conducessero per la città, affine d’esser da ognuno riconosciuti, e dimettere ogni concepita paura.
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