Elevavasi intanto dalla municipalità di Messina il dubbio se le civiche gabelle di conto di essa comune sopra i tabacchi, salami, salumi, caci ec. andassero abolite in forza degli articoli 95 e 96 del real decreto de’ 23 marzo 1819, giacchè si consideravano come dazî d’immessione non già di consumo; sotto la quale ultima caratteristica doveano andar comprese nell’abolizione dell’un per cento proclamata col cennato decreto de’ 23 marzo 1819. Re Ferdinando considerò con altro suo real decreto de’ 6 marzo 1820 esser le civiche gabelle destinate alla consumazione e perciò dazî di consumo, come tali non potersi intendere abolite, perchè il nuovo imposto dell’un per cento comprendeva i dazî d’immessione, ed escludeva quelli di consumo (2649). Solamente venne a favorire con altro real decreto degli 8 maggio 1820 la [747] istituzione del porto franco, esentando i generi addetti al consumo anzidetto dal pagamento de’ dritti di bollo, che le dogane riscuoteano per l’apposizione del medesimo alle mercanzie che immetteansi nella menzionata città di Messina.
Gli ultimi provvedimenti, che risguardassero il commercio e l’industria nazionale, furono appunto quelli che versaronsi sulla diminuzione del dazio del cotone, e sulla piantagione delle risaie.
Il cotone in istoppa o in iscorza, giusta la tariffa doganale sanzionata dal sovrano decreto de’ 20 aprile 1818, era gravato d’un forte balzello di ducati sei a cantaio. Questa disposizione non favoriva punto la coltura e il commercio di questa indigena produzione, perchè il dazio d’esportazione impediva qualunque operazione s’avesse potuta fare dagli speculatori su di siffatto rilevante prodotto.
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