“Io non riconosco nelle pubbliche cariche nè dritti da esercitare nè pretensioni da far valere; ma unicamente de’ doveri da adempire. L’autorità non è stata a noi confidata, perchè ne usassimo a nostro vantaggio, ma per lo bene de’ popoli. Tutt’i nostri pensieri, e le nostre cure son dovute senza restrizione e senza ipocrisia al servizio pubblico. Colui che segna altri confini ai doveri della propria carica, o non ha mai compreso, o ha sconosciuto la sua vocazione.
“Io non valuterò altri titoli di merito, che i servigî renduti al re e allo stato; nè terrò in conto di servigî se non quelli dei quali si possa indicare un’utilità pubblica. Quel funzionario insomma del quale potrà dirsi che abbia colle sue virtù e coi suoi talenti fatta progredire l’istruzione pubblica, preparato un nuovo campo all’industria, protetto con isforzi generosi gl’interessi de’ comuni, e de’ pubblici stabilimenti, garentita e difesa la rendita dello stato, assicurata la tranquillità delle campagne, raddolcita la sorte degl’infelici, combattuto in favor della ragione degli oppressi.... questi sarà per me il funzionario degno di esser segnalato alla clemenza e giustizia di S.M. come l’uomo che ha meritato le benedizioni del popolo. Ogn’altro titolo che tale non sia, io lo riguarderò come un’aberrazione dai principî.
“Il talento e la probità saran per me i soli mezzi, onde ottenere l’ingresso nella camera de’ pubblici impieghi. Io mi studierò di disotterrare le virtù e i talenti modesti: m’ingannerò sovente o sarò ingannato; ma non saranno, io spero, i titoli ereditarî, nè le private affezioni, nè i meriti fattizî che m’indurranno in errore.
| |
|