“Io riconosco negli amministratori e nei percettori della rendita pubblica i sostegni del credito pubblico, ed i garanti di tutti i servigî ed obblighi dello stato. Io non potrei adunque non riguardare come gravissima colpa ogni specie d’infedeltà e d’apatia dalla parte loro, come d’altronde metterò tra miei doveri il segnalare alla clemenza del re coloro, cui non mancheran mai le due virtù di cui più hanno bisogno, la fedeltà e l’attività.
“D’una specie ben differente sono i rapporti tra me e l’ordine giudiziario; preposto dalla clemenza del re all’amministrazione dello stato in questa parte de’ reali dominî, io riconosco tra’ miei doveri, il lasciar libero a’ corpi giudiziarî l’esercizio delle loro funzioni. Collocherò sì la mia gloria nell’essere l’ausiliario della giustizia, ma nel fine soltanto di rimuovere gli ostacoli di fatto, che s’osasse di opporle, e di rassegnare al legislatore i nuovi casi che il tempo scoprisse, e che degni fossero di essere regolati dalla di lui sapienza. Io mi guarderò bene dallo associare il governo alla causa de’ contendenti, e mi atterrò così fortemente a questa regola, che tutte le petizioni, le quali mi fosser dirette dai litiganti non riceveranno da me alcuna accoglienza.
“Nel tempo istesso però credo dovere della mia carica il vegliare alla conservazione della disciplina, e alla condotta [752] morale di tutt’i componenti l’ordine giudiziario. Se i magistrati sono i garanti della pubblica sicurezza, la loro disciplina e la loro morale sono d’altronde i soli garanti della loro giustizia.
| |
|