A tale milizia approdata in Cefalù andossi ad unire il colonnello Gaetano Costa, seco menando da Messina una schiera di altri tremila soldati non senza incontrare ostacoli nella sua marcia, il più rilevante dei quali fu la mischia ch’ebbe con animosa guerriglia che avendolo infestato mal potendo da poi battagliare in campo aperto venne distrutta in parte ed in altra fugata. Restringendosi la rivolta quasi tutta nella città di Palermo, verso di essa volse il general Pepe con settemila uomini, e giunse in Termini il 23 di quel mese. Dal canto suo la giunta di governo avea spedito a costui una deputazione di distinte persone, tra quali il principe di Villafranca, onde trattare onorevole accordo; ma due accidenti il frastornarono allora, il primo fu che per un equivoco avvenne attacco tra una fregata della regia flotta e le barche cannoniere palermitane che scortavano il Villafranca. L’altro che avendo il general Pepe condisceso all’accordo a condizione che le sue milizie entrassero il 25 di quel mese in Palermo, promettendo ampia amnistia per tutti i delitti d’opinione val dire di fellonia, e riserbando al giudizio dei magistrati il gastigo dei delitti comuni, la faziosa plebe non bene intendendo la distinzione tra i delitti di opinione, pei quali si prometteva l’oblio, e quelli serbati alla vendetta delle leggi, si persuase esservi manifesta insidia alla sua fede. Laonde tumultuò grandemente, nè a calmarlo valse la guardia civica, che fu vinta disarmata e costretta a cercare ricovero nelle proprie case.
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