Rimasta la plebe signora della città e delle sue fortificazioni, ricominciarono i fatti di sangue e di vendette, e le ruberie. Mancava qualsiasi freno, sicchè i buoni cittadini desideravano ch’entrasse il regio esercito onde porsi un qualche modo ai soprusi ed agli eccessi. Erano le ore venti d’Italia del 25 di quel mese, quando comparve l’antiguardo di tale esercito sotto le mura della parte orientale della città fortificata di ben quattrocento pezzi di artiglieria, ed incominciò la mischia coi faziosi, la quale divenne più calda allo giugnere della prima colonna avanzatasi a marcia sforzata. Essendo stato l’antiguardo respinto, le milizie rinnovando l’attacco investirono la città per tre punti dal lato istesso delle porte sant’Antonino, Termini, e Reale. Neppure la fortuna arrise ai regî in questa seconda zuffa, incontrando non solo impetuosa resistenza sul fronte, ma essendo [756] bersagliati con gravissima perdita sul fianco dritto dal vivo fuoco delle palermitane barche cannoniere. Non di meno s’inoltrarono e si sostennero essi in sino ad un’ora di notte nel piano della marina, ma incalzati dal numero si ripiegarono, e presero alloggiamento al di là del fiume Oreto. Al far del giorno della domane, mentre la regia flotta s’accostava alla città ed incominciava a cannonarla, veniva la medesima assalita per linea di porta Reale e sant’Antonino; perocchè per un verso una parte delle regie milizie avanzatesi per la villa Giulia e per l’Orto Botanico era penetrata nei giardini del principe della Cattolica, salendo pei quali ne aveano occupata la casina sulla porta dei Greci, e d’altra via un battaglione entrato per porta Reale giugneva in colonna sino alla chiesa della Pietà, che è a dire entro Palermo.
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