È incredibile la difesa fatta in questo scontro dai faziosi che a malgrado di non aver capi e militar disciplina, pure combattevano con estremo valore. In breve ora dal forte della Garita le grosse artiglierie ridussero in cenere la casina di Cattolica, e ne sloggiarono i soldati, inoltre palmo a palmo la furiosa moltitudine alle altre milizie per ogni dove contrastava il terreno, e le faceva indietreggiare; sicchè dovettero ritirarsi con molta perdita e concentrarsi oltre il fiume nella pianura detta la Gua
dagna. Orgoglioso il popolo di tal vittoria, tutto ripone nella sua volontà; quindi a maggiori rovine ed alla anarchia era la misera Palermo nel suo interno esposta, mentre grave assedio durava nell’esterno. Nè men difficile era la condizione del regio esercito sminuito oramai dalla quinta parte per le sofferte perdite, ed avendo a fronte una città ben difesa da artiglierie e da coraggiosa massa di oltre a settantamila uomini, la quale i riportati successi aveano vieppiù rincorata; mancava altresì di viveri, di munizioni da guerra, e d’ospedali pei feriti, nè poteva soccorso sperare dalla flotta che in quel momento per contrarietà dei venti erasi ricoverata nella rada di Solanto. Aggiugnevasi che altri ottocento soldati che venivano da Trapani erano stati messi in rotta presso Alcamo sulla strada che conduce a Morreale. Tali fatti facean decidere il prode general Pepe a desiderare accordo coi sollevati, e quindi alle amichevoli vie si diede non senza stenti e pericoli apertura, ed a comporre le cose molto s’adoperò Luigi Moncada principe di Paternò addivenuto presidente della giunta di governo, grave oltremodo di anni contandone oltre ad ottanta, che in quel frangente con senno e destrezza sprezzando cimenti, ed affrontando la formidabil moltitudine seppe sì persuaderla sì dominarla colle sue maniere e con popolare eloquenza, che quasi da sè stessa cedette.
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