Circa le ore otto e mezza pomeridiane una scintilla partita dal lume che andava ad estinguersi comunicò il fuoco alla polvere, la quale scoppiando orribilmente fe in un tratto saltare in aria l’intero edificio. La forza potentissima dell’esplosione avvertì tutti gli abitanti della città di Messina d’un infortunio che presto appresero per [760] violento tremuoto, giacchè oltra alla terribile scossa generalmente sentita, fu visto un chiarore insolito nel buio della notte, e un fetore simile a zolfo. Le frondi degli alberi vicini restarono bruciate, e le abitazioni sino ad un quarto di miglio di distanza patirono grande guasto. Di quei disgraziati vittima dell’imprudenza e d’un insano consiglio soli cinque rimasero salvi, e due diedero speranza di guarigione; gli altri furono interamente fracassati, e le sparse membra raccolte nei barili di polvere rimasti vuoti vennero inumati in una chiesa vicina. L’intendente colle autorità di polizia emisero in questo frangente quelle disposizioni che meglio faceano al bisogno, e più perchè la residuale polvere, laddove ne fosse rimasta, venisse tolta e trasportata altrove; ma queste determinazioni non impedirono che circa le ore due e mezza del mattino una seconda leggiera esplosione non avesse avuto luogo, la quale fu prodotta dall’accensione di quella polvere ch’era restata sepolta sotto le macerie della fabbrica, e che non poteva agevolmente togliersi.
Anche nel giorno trenta maggio di quest’anno in Cefalù alle ore venti d’Italia cominciò tale dirotta pioggia che convertissi ben presto in alluvione.
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