Queste furono le prescrizioni sanitarie. Ma un real decreto dei 30 ottobre prescrisse che durante quella straordinaria circostanza ogni contrabando o sbarco furtivo, sia di generi, sia di persone, sarebbe considerato come una infrazione sanitaria di primo grado, ai termini degli articoli 10 e 11 dello statuto penale, e perciò punito colla pena di morte.
Parve ad ognuno che queste opportune disposizioni fossero non che bastevoli, sufficienti a salvare dal male la nostra isola, e perciò si andava spensieratamente su tale bisogna. Ma per questa ragione appunto fu per esser la Sicilia preda dell’orrendo flagello, la quale circostanza ci piace di raccontare.
Era di già pervenuta nel porto di Palermo una barca, capitanata da certo Mason inglese di nazione, la quale giusta il disposto venne soggetta ad una contumacia. Trovavasi tra le persone ad essa addette un moro, il quale, sia che i mali trattamenti del capitano lo inasprissero, sia che la propria condizione sdegnasse, pensò fuggire di notte dalla barca anzidetta, eludendo non che i [764] suoi compagni, sì ben le guardie sanitarie che la custodivano; non si seppe il luogo di rifugio, ma è certo che qualche mano imprudente l’abbia ricettato.
Il domane il capitano fe palese alle autorità la fuga del moro, e disse altresì che si ponesse in opera ogni mezzo per rinvenirlo, potendo bene venir compromessa la pubblica salute. Veramente la colpa principale cadeva sugli agenti sanitarî, i quali con riprovevole trascuraggine aveano dato campo ad un simile accidente, anzi aveano abbandonato il loro posto; in questo caso la pena che lor competeva era gravissima, e le leggi vigenti e la circostanza attuale altamente la reclamavano.
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