Fra essi è degno di ricordo quello che rese libera la macellazione della carne. S’era allora proposto al senato di Palermo da taluni proprietarî monopolisti di far provvista della carne bovina nella capitale a cagion della penuria del bestiame. Per le loro istanze il senato credè di rassegnare al governo lo inconveniente che un tal progetto produceva non che agl’interessi della comune, ma dei particolari ancora; onde propose invece che si rendesse libera la macellazione senza intoppi di sorta, talchè assicurandosi la percezione del dazio corrispondente, che sulla carne anzidetta vi gravitava, fosse libero ai macellanti di far uso del macello del senato. Il governo diffatti credè giusto lo espediente posto innanzi dall’autorità menzionata, e venne inculcandone la esatta osservanza.
Medesimamente venne resa libera l’estrazione dei grani e degli orzi di Sicilia, delle paste lavorate, delle farine di grano, del fior di farina, della semola e del biscotto, quando però essa esportazione si facesse su i legni nazionali. Se poi fosse fatta per mezzo di legni esteri, allora la tratta che si pagava anteriormente si riduceva a metà. I grani però che dall’estero pervennero in Sicilia, pagarono per ogni salma legale la tratta di oncia una e tarì venti nella immessione su i legni esteri, e di tarì venticinque se sopra nazionali. Il biscotto estero pagò nella immessione il doppio dazio stabilito pei grani. Ma non per questo però vennero i generi anzidetti esentati dalle civiche contribuzioni cui erano precedentemente soggetti (2676). Anche la estrazione del carniccio dei cuoi dalla Sicilia rimase libera, ma il dazio doganale che sin allora corrispondevasi in tarì due a cantaio, venne aumentato a tarì dieci (2677).
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