Ma il contrabando in questo tempo veniva percosso da nuove prescrizioni, giacchè le mercanzie sorprese in frode non più poterono essere restituite allo interessato per mezzo di una valida cauzione, ma rimasero invece, pendente il giudizio, presso la dogana sino all’esito dello stesso. Se i generi per la dimora potevano scemare in valore, allora l’autorità competente era autorizzata ad ordinarne la vendita, versando il prodotto nella tesoreria per liberarsi poi a chi di dritto, quando il giudizio fosse terminato (2680).
Intanto a maggiormente incoraggiare l’agricoltura dell’isola in generale proibivasi per un solo anno l’importazione dei grani esteri nella Sicilia (2681). Ciò che posteriormente praticavasi anche dal re di Sardegna pei suoi stati, come da una circolare comunicata al luogotenente si desume. Il dazio però che vi gravitò sopra non fu minore di lire nuove sette, e centesimi cinquanta di Piemonte per ogni cantaio metrico (2682). Anche le fabbriche di cuoi e pelli esistenti in Messina ricevettero in quei tempi dalla paterna mano del re un incoraggiamento. La perfezione a cui erano esse salite spesso confondeva le manifatture estere colle nazionali, e dava adito ai spacciatori di trar profitto di una tale circostanza. Se ciò nuoceva all’erario, rovinava poi gl’interessi dei fabbricanti, i quali non potevano vendere al meritato prezzo i generi loro manifatturati. A resecare quest’inconveniente S.M. comandò che i cuoi e le pelli dell’enunciate fabbriche di Messina fossero contrasegnati da un bollo particolare colla leggenda – Regia Dogana di Messina per la manifattura dei cuoi.
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