Ogni previdenza però tornò sventuratamente vana ed inutile, ogni via fu preclusa, e la misera gente morentesi nella fame, deplorava la trista condizione in cui era caduta. L’origine e la fonte di tanto danno avea più alte radici, le quali sconosciute comunemente, esigeasi che si rinvenissero, e si troncassero, mentre il languire nell’inedia senza scampo, e senza rimedio, era un vivere peggior di morte. Chi diceva: dalla libera immessione e del basso prezzo dei grani di levante prevenir scoraggiamento a’ nostri agricoltori, chi dagl’inceppi cui soggiacea la proprietà, chi da una o da altra causa, ma certo era però che il male imperversava e più atroce rendevasi a tutta l’isola. A porre in chiaro la faccenda non mancò spirito di patria, nè ingegno nei Siciliani, fra i quali si distinse il nostro Niccolò Palmieri che uscì all’uopo in campo con una dotta ed elaborata memoria, dichiarando i veri motivi del funesto decadimento dell’agricoltura specialmente pelle granaglie, ed i mezzi veri ed efficaci per ovviarvisi (2716). Mostrò vana ed insussistente l’opinione prevalsa della concorrenza dei grani di levante, e quantunque sfornito di notizie autentiche ed esatte intorno alla pubblica economia di Sicilia, onde poter poggiar su dati certi le sue asserzioni, pure riuscì quasi miracolosamente, con congetture e raziocinî fondati sull’esperienza, a dimostrare le vere cause del deperimento dell’agricoltura, e gli opportuni rimedî per farla nuovamente risorgere e fiorire. Egli avea scritto invero questo suo discorso sin dal febbraro del 1825, tempo in cui erasi cominciata a far sentire la penuria del grano, ma non lo rese di pubblica ragione che dopo un anno e più mesi.
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