Or egli comincia dal combattere l’opinione che le imposizioni avesser potuto depreziare l’agricola industria, giacchè sostiene, essere incontrastabile il dazio proporzionato alla ricchezza d’un paese accrescerla e non diminuirla. Distrutte le comuni supposizioni passa allo esame delle vere cagioni e le ritrae da più alti principî. Dice, le varie vicende dell’Europa, pria della francese rivoluzione, aver fatto sorgere il bisogno, e quindi la ricerca dei valori preziosi; minorando la produzione e l’offerta la moneta aumentare il valore e sminuire il prezzo delle cose. In Sicilia però in tempo della residenza degl’Inglesi, ricca per la profusione degli ori e degli argenti, che quelli a piene mani vi versavano, il valor degli oggetti industriali esser divenuto al contrario maggiore. Cessata la lotta, essere stato impossibile sostenere i pesi che anteriormente si comportavano; e per conseguenza soffrirne la nostra economia, la quale non potendo stare a livello di quella dell’intera Europa, rimasa straniera a questa speciale fase, dovette necessariamente rovinare il prezzo e il valor delle derrate che divenne vilissimo. La fatale amministrazione dell’annona che la municipalità avea tenuto negli anni 1814, 15 e 16, [792] aver costretta Sicilia ad erogare un numerario sì strabocchevole per compra di frumenti ed altre derrate dal levante da invilire in lagrimevol guisa il valore al frumento nazionale, e quindi impoverire la nazione. Arrogersi, i venditori essere stati costretti a spacciare con mete fisse i pastumi e il pane, mentre i frumenti lor costavano a caro prezzo; questo aver prodotta la difficoltà dello smercio dei grani indigeni, e quindi l’abbandono dell’agricoltura, stando la produzione sempre in relazion del consumo, o meglio dello spaccio.
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