Dunque le manifatture che sono gran sorgente di ricchezze, potersi effettuire in Sicilia solamente agevolando l’agricoltura, la quale per mezzo di profitti aumentando i capitali, fa sorgere l’industria manifatturiera.
Stabilito siffatto principio egli tenta con ogni possibile mezzo di dar norme precise e certe come immegliare l’agricoltura riconosciuta unica sorgente di bene. Primo espediente, dice, esser quello di allogare in più partite le vaste possessioni, le quali per mancanza di mezzi non potendosi intere coltivare si lasciano in abbandono e periscono. La quantità della terra data a fitto non dover essere più di cinquanta salme fino alle settanta, e la durata del fitto lunga tanto da poter agevolmente dar adito al fittaiuolo di compensare le spese fatte, di corrispondere con esattezza al padrone negli obblighi assunti, e finalmente di soddisfare allo stato quanto gli è dovuto per le contribuzioni, o per qualunque siasi prestazione che sul fondo medesimo sta gravata. Inoltre il fittaiuolo per brama di subito guadagno non dover vendere il prodotto del terreno alla menoma richiesta, giacchè questo sistema dei nostri agricoltori rovina gl’interessi proprî e quelli dello stato, e invilisce il valore della derrata. Volgesi finalmente a trattar della pastorizia in Sicilia, per la quale dà alcune norme sode e giudiziose onde se ne tragga in vantaggio comune maggior profitto; raccomanda medesimamente i prati artifiziali, e la opportuna cura dei concimi, e il modo di raccorli, base, dice egli, della buona agricoltura che in Sicilia s’ignora.
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