Il governo però sul riflesso che l’eccezione alla regola, la quale esentava dal pagamento di tale dritto le merci che in Palermo s’immettevano fornite di bollo doganale, riguardava certamente quelle mercanzie che provenivano dallo interno delle valli, sia per la via di terra che per mare, venne a dichiarare, che la esenzione dal pagamento dei dritti in parola si potesse godere nell’uno e nell’altro caso, salve le eccezioni previste nella nuova legge doganale per le mercanzie spedite dalla dogana di Messina.
Per l’economia silvana in Sicilia vennero adottate le prescrizioni già in vigore nel regno di Napoli; come altresì per le controvenzioni al dazio sul macino furono lasciate in osservanza le determinazioni vigenti pria [796] della legge del 1826, togliendole alla giurisdizione dei giudici di circondario.
Onde agevolare però molte fabbriche di panni che s’erano messe in opera nell’intero regno delle due Sicilie, e quelle ancora che poteansi agevolmente porre in esecuzione in progresso di tempo, re Francesco pensava in quest’anno d’aumentare il dazio che su tale manifattura gravitava in forza della legge doganale del 1824, disponendo che i panni o castori della larghezza fino a palmi sei, che pagavano ducati tre e grana dodici la canna, fossero invece gravati del dazio di ducati quattro e grana sessantadue; per quei d’una larghezza maggiore di sei palmi e fino a palmi sette inclusivi, che esigeasi in ducati tre e sessantadue la canna, venisse aumentato a ducati cinque e grana dodici; e per quelli finalmente che eccedessero i palmi sette fino a palmi otto inclusivi, e su cui il dazio era di ducati quattro e grana dodici la canna fosse di ducati cinque e grana sessantadue (2722).
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