Mai fuvvi calamità più terribile, più impreveduta, ma più generale. Le coste di Calabria ed alcune parti d’Italia, situate sotto il vento che spirava in quella notte disastrosa, si videro coperte della stessa polvere rossastra da cui rimasero sepolte le contrade vicine al Vulcano. La Sicilia serba ancora la funesta rimembranza di un tale flagello che devastò la più fertile contrada del mondo.
Esordiva in quest’anno co’ primi calcoli numerici il giovinetto Vincenzo Zuccaro, uno di quegli esseri privilegiati dalla natura, la quale piena sempre di maravigliosi fenomeni sa spesso abbattere le filosofiche teorie sul graduale sviluppo delle umane facoltà, formando un essere scevro da ogni legge che essa medesima impone alla universale creazione. La poca età dello Zuccaro, l’essere assolutamente scevro da qualunque nozione, la facilità e la speditezza nello eseguire e disciogliere i più complicati problemi aritmetici, agitarono lunga pezza la mente dei filosofi, e tuttavia l’agita; e sebbene qualcuno di essi abbia tentato di tor via questo gran dubbio che rimane in una parte della scienza, che non fa che renderci più accaniti nelle astrazioni e nelle ipotesi, pur tuttavia sembrami esser questa una di quelle ragioni per cui l’uomo limitato alla sola conoscenza delle cause esterne, o per meglio dire dei suoi sensi, non può render conto a sè stesso degl’interni rapporti del fisico col morale, e come vi agisca l’influenza dell’età e del sesso (2724). E se il Paschal e il Leibnizio mostrarono anche su questo particolare mente straordinaria, si rifletta che nè il primo nè il secondo erano esenti da istruzione, nè eseguirono calcoli della medesima complicazione; e le trentadue proposizioni scoperte dal cennato Paschal della geometria di Euclide, poterono con maggiore agevolezza rinvenirsi da un giovinetto di ben dodici anni che di buon’ora iniziato nella carriera delle lettere dal dotto di lui padre, era presto pervenuto alla conoscenza delle matematiche.
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