Ma siccome tutte le buone cose debbono aver contradittori, così si videro fieramente attaccate le opinioni del Bivona e dello Scinà. Eravi un discorde sentenziare, un susurrare perpetuo, un motteggiare, un fantasticare, un sragionare tra molti. Fuvvi chi pubblicò nei fogli periodici che mano d’uomo avesse seppellito nella cennata grotta le ossa di cui si parla, e che appartenevano agli elefanti dell’armata cartaginese, allorchè fu dai Romani vinta nei contorni della nostra città; e agl’ippopotami che si trasportaron dall’Egitto per servire di diletto nei giuochi della Naumachia, che presso Palermo, e precisamente in Mardolce, esisteva. Altri (e si ricorda con viva dispiacenza per sua qualità di naturalista) lesse nell’accademia un discorso, le cui idee furon poscia riportate nei fogli periodici, e pretese che quel deposito di ossa fosse un’opera dell’uomo; ch’elle fossero state ivi deposte a strati, e sepolte di calcina di terra di lastroni di dura pietra; ch’eran tutte di animali noti e proprî della Sicilia, e della vicina Africa; e depostevi durante il dominio di quasi dugent’anni degli Arabi in quest’isola, i quali padroni ancora dell’Africa, di là quì li portarono per allevarli nei loro parchi, o serragli di fiere, e per gli usi necessarî alla vita; cercando di dimostrare che non poteano essere affatto di tempi antichissimi, mentre, secondo lui, vi si vedeva la mano degli uomini che li seppellì. Per la qual cosa veggendo il Bivona sì fortemente attaccate le sue opinioni diedesi ad osservare tutta la costa ch’è a livello di quella di Mardolce, la quale, secondo avea detto lo Scinà, doveva essere tutta piena di depositi marini; e quindi dovea presentare gli stessi fenomeni ch’eransi ivi osservati.
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