Uscito giovanissimo da quel conservatorio, presto si diede a far mostra di sè medesimo; ma la prima prova alla quale s’accinse non palesò affatto il novello metodo [840] di cui in appresso fe sempre scudo alla sua fama. Nelle sussecutive composizioni musicali egli colse allori immarcescibili, e divenne provettissimo in quella scienza, nella quale tant’altri non giungono che assai tardi. La fase della vita del Bellini è singolarissima in ciò, giacchè il tribunale dell’opinione in questo mondo è sì rigido, che fortunato riputar si debba colui che unanimamente vi può esser giudicato a seconda delle intrinseche prerogative, maggiormente quando la fama che si deve stabilire ad un uomo si fonda su nuovi metodi e teorie. Ciò non ostante il Bellini con sistemi proprî ed originali spinse la musica a tal grado di sensibiltà e di dolcezza che vi rapisce e v’incanta. Disse bene in questo proposito Felice Romani, il compagno avventuroso della sua gloria, che leggendo in quell’anima poetica, in quel cuore appassionato, in quella mente vogliosa di volare oltre la sfera in cui lo stringevano le norme della scuola, e la servilità dell’imitazione, s’accorse che per lui ci voleva un altro dramma un’altra poesia ben diversa da quella che introdotta aveano e il mal gusto dei tempi, e la tirannia dei cantanti, e l’ignavia dei poeti teatrali, e quella più grande ancora dei compositori di musica (2775). Ed invero fu la poesia del Romani che gli suggerì quelle delicate e melodiose spirazioni di cui non v’era esempio sin’allora, quella poesia appunto che ha sublimato quell’egregio italiano, restauratore, anzi dico meglio raffinatore della lirica poesia nella bella penisola.
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