Ma se da un canto si serenaron le turbate menti per la totale distruzione degli assassini, non venner mica quietati i timori [841] per li rapidi progressi che l’asiatico morbo andava operando, essendo di già pervenuto ad attaccare non solo l’Italia, ma Roma ancora, vicina per la sua posizione alle frontiere del regno di Napoli. La costernazione fu allora in un grado eminente, si cercarono i mezzi di preservazione, ma furono inutili. Era difficile lo impedire l’invasione d’una malattia che s’era veduta andar progredendo mano mano, attaccando d’uno in altro ogni contiguo paese. Le precauzioni fecero forse più tarda la sua introduzione nel regno di Napoli, ma non perciò lo salvarono. E diffatti scorso qualche tempo s’intese parecchie provincie manifestar segni di cholera, di cui contemporaneamente imbrattavasi la capitale. Vano fu qualunque rimedio per metter argine a tanta desolazione, e presto Napoli si vide in preda al terribile morbo. È facile immaginare qual dovesse essere la costernazione dei Siciliani nel vedersi sì da presso minacciati da un male che avea desolato da tanti anni l’Europa. La vicinanza del luogo fece sospettare essere inevitabile il suo contagio nell’isola. Pur non dimeno non si tralasciarono quelle cautele che la circostanza impellente dettava; furon ordinati nuovi cordoni per tutto il littorale formati da persone civili e possidenti, perchè più zelanti della pubblica salute; s’interruppero le comunicazioni con l’altra parte del regno già infetta; si badò con nuove prescrizioni e più opportune ed energiche a guardare per quanto stato fosse possibile la Sicilia dal temuto flagello.
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