Per questa ubbidienza li ottengono nuovamente, 459. Si allarmano contro il pretore, e la nobiltà di Palermo, ivi, crescono a dismisura i loro sospetti, ivi. Per un mero accidente si sollevano, ivi, e s’impossessano dell’armeria del senato, 460. S’irritano, vedendo fortificato il regio palagio, ed ordinano che i cannoni dei baluardi vicini si rivolgano contro di esso, 461. Armano quindi il popolo contro la cavalleria, ivi. Chiedono, che ne fossero discacciati gli Irlandesi, ne uccidono quanti ne incontrano e saccheggiano le loro case, ivi. Cercano di ridurre la città in quiete, 462. Entrano in nuovi sospetti, e fanno, per assicurarsi, altre dimande, che sono loro accordate, ivi. Si accorgono delle favole sparse dai malcontenti, che vengono da loro carcerati, e consegnati al governo, che li castiga, ivi. Si presentano al vicerè, e lo assicurano della loro fedeltà, 463. Nella sollevazione dell’anno 1773, sono chiamati da monsignor Serafino Filangeri, arcivescovo di Palermo, per procurare la quiete della città, e ricusano, sotto varî pretesti, di portarsi al di lui palagio, 635. Ma poi persuasi dai loro parrochi vi si recano, ivi. Nel congresso tenutosi in casa di questo prelato non vogliono sulle prime intromettersi a tranquillare la patria. Sono indi indotti a imprenderne la custodia della città, dalle persuasioni, e dalle ragioni di monsignore, e della nobiltà, ivi. Chiedono che questo prelato si faccia vedere dal popolo, ivi. Sentendo, che la notte si armava il palagio reale, si sollevano, e mettono le armi nelle mani dei loro garzoni, 637. Si dolgono di non essersi osservati i patti fatti il giorno antecedente col principe di Cutò. Fanno chiudere le porte della città, ivi.
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